Il nuovo romanzo di Stefania P. Nosnan, uscito a novembre 2025 e intitolato Leggere piume sui morti, parte da qui: una scia di omicidi all’arma bianca, brutalità improvvisa e un elemento che disorienta la stessa polizia. Le vittime non hanno nulla in comune: età diverse, vite diverse, storie che non si sfiorano. Sembrano scelte a caso. Almeno all’inizio.
Poi qualcosa cambia.
O meglio: qualcuno vede ciò che gli altri non riescono a mettere a fuoco.
La piuma lasciata sul corpo: il segno del rituale
Il serial killer non colpisce soltanto. Costruisce. Modella.
Ogni arma è realizzata da lui, con un’attenzione maniacale alla forma e alla simbologia.
E, soprattutto, su ogni corpo lascia cadere una piuma.
Per lui non è un dettaglio poetico, né una firma vanitosa: è una logica, un codice, un modo per attribuire alla vittima un peccato che lui, e solo lui, ritiene di aver scoperto. La piuma non è un ornamento: è un giudizio.
È qui che entra in scena Achille Romanello, antropologo e odontologo forense, convocato da Milano quando l’indagine comincia a mostrare troppe crepe. Il primo contatto tra lui e il commissario Marcucci è tutt’altro che armonioso: due caratteri forti, due teste che non intendono cedere terreno. Ma il killer non aspetta che loro si mettano d’accordo.
Marcucci e Romanello: un duo imperfetto ma necessario
Marcucci e Romanello si trovano così costretti a unirsi, pur sapendo che quella collaborazione rischia di diventare un braccio di ferro continuo. Eppure è proprio in quel conflitto — a tratti personale, a tratti professionale — che il romanzo trova una delle sue scintille più interessanti.
È Romanello a intuire la logica del killer, a leggere nella scelta delle armi e nella presenza delle piume un disegno più ampio, qualcosa che affonda nella psiche contorta dell’assassino.
È Marcucci, invece, a spingere, a muoversi nella città reale, nelle strade e nei vicoli, nella Roma che non si lascia impressionare facilmente dalle storie di sangue ma che, quando un killer colpisce così, non riesce a dormire davvero.
Il romanzo si gioca tutto sulla tensione crescente e su un assassino che non agisce per impulso, ma per ossessione.
Una selezione delle vittime che diventa quasi un processo, una messa in scena di peccati immaginati e condanne autoimposte. Un rituale a cui l’assassino obbedisce con una lucidità spaventosa.
Stefania P. Nosnan — editrice, promotrice culturale, direttrice di diversi progetti editoriali e vicepresidente dell’Associazione Scrittori FVG — firma un giallo compatto (193 pagine), denso e costruito con cura chirurgica, dove la Roma dei commissariati incontra le analisi forensi e le derive psichiche di un assassino che parla attraverso le sue armi.
È un libro che si muove tra corpi, simboli e silenzi, e che lascia addosso la sgradevole sensazione che, sotto la superficie di una grande città, possano nascondersi rituali che nessuno vuole vedere davvero.