C’è un’idea dura a morire, soprattutto in una certa retorica della produttività: dormire meno significa avere più tempo ed essere più efficienti. “Stringere i denti” è quasi un must e per certo fa felice il Capitale. Peccato che non fa felice noi stessi e che il corpo non la pensi affatto così. Anzi, quando il sonno si riduce, il prezzo da pagare non è solo la stanchezza del giorno dopo. È qualcosa di più profondo, e spesso invisibile: un vero e proprio sabotaggio metabolico.
La relazione tra sonno e aumento di peso non è un’invenzione da lifestyle magazine: è una verità assodata, corroborata da anni dalla ricerca clinica.
Quando dormiamo poco, gli ormoni che regolano fame e sazietà iniziano a comportarsi in modo anomalo. Studi pubblicati su Annals of Internal Medicine mostrano che la restrizione del sonno porta a un aumento della grelina – l’ormone che stimola l’appetito – e a una riduzione della leptina, che invece segnala al cervello che siamo sazi. Il risultato è semplice da descrivere, anche se fastidioso da sperimentare: si ha più fame e ci si sente meno appagati, anche dopo aver mangiato.
Non è solo una questione di “voglia di snack”. La mancanza di sonno alza anche i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. E il cortisolo, quando resta cronicamente elevato, spinge l’organismo a conservare energia sotto forma di grasso, soprattutto a livello addominale. Non perché il corpo sia “pigro”, ma perché interpreta la privazione di sonno come una condizione di allarme.
C’è poi un altro aspetto, meno discusso ma decisivo: la risposta insulinica. Diversi studi indicano che, in condizioni di sonno insufficiente, le cellule diventano meno sensibili all’insulina. In pratica, il glucosio viene gestito peggio, anche a parità di calorie assunte. È come se il motore metabolico perdesse efficienza senza che nessuno abbia toccato l’acceleratore.
Uno studio del 2010, sempre pubblicato su Annals of Internal Medicine, è particolarmente eloquente. I partecipanti sottoposti a restrizione del sonno, pur seguendo una dieta controllata, perdevano meno grasso e più massa magra rispetto a chi dormiva a sufficienza. Stesso cibo, stesso apporto calorico, risultati diversi. Il corpo, privato del sonno, cambiava strategia: bruciava peggio e proteggeva il grasso.
È qui che cade un altro mito: dormire non è tempo “perso” dal punto di vista metabolico. È tempo attivo, fondamentale. Durante il sonno si regolano ormoni, si riparano tessuti, si ristabilisce l’equilibrio tra consumo e risparmio energetico. Quando questo processo viene interrotto o accorciato sistematicamente, il corpo si adatta, ma lo fa nel modo meno favorevole possibile.
Dormire poco non fa ingrassare automaticamente, certo. Ma crea le condizioni ideali perché il peso diventi più difficile da gestire, anche per chi mangia “bene” e non esagera. È una differenza sottile, ma sostanziale. Ed è anche il motivo per cui il sonno dovrebbe essere considerato uno strumento metabolico a tutti gli effetti, non una concessione.

