Nel romanzo 4 a.m. di Antonio Rampino la notte diventa metafora del giudizio interiore: tra scienza, giustizia e fragilità umana.
Nel cuore della notte, quando l’orologio segna le quattro — quell’istante in cui “la notte non è ancora finita, ma il giorno non è ancora iniziato” — si apre uno spazio fragile, sospeso, in cui la mente sgombra dalle distrazioni del giorno può affrontare i propri limiti. È proprio in quel confine invisibile che si ambienta 4 a.m., il nuovo romanzo di Antonio Rampino (edito da Santelli Editore, 2025) — e noi in anteprima ne leggiamo i risvolti più angoscianti e necessari.
L’autore, psichiatra di lungo corso, ci conduce nel reparto psichiatrico-giudiziario di Aldo Masi, 53 anni, che si trova a capo di pazienti autori di reato. Con lui, i giovani allievi Antonio e Alice: un trio che esplora il confine tra malattia mentale, responsabilità individuale e comportamento criminoso. Come recita la sinossi ufficiale, «dietro le porte di un reparto psichiatrico per detenuti, dove l’ombra del crimine si fonde con quella della malattia mentale, lo psichiatra Aldo Masi è ossessionato da una questione: qual è il confine tra disturbo mentale e libera volontà?»
La notte della coscienza
Le quattro del mattino non sono un orario come gli altri: rappresentano il punto in cui «la scienza non basta più e inizia la coscienza». In questo romanzo quel tempo racconta la tensione tra il sapere (psichiatrico, diagnostico) e la domanda etica: può la mente essere davvero colpevole? Può la malattia diventare alibi e, se sì, dove si disegna la linea della scelta? Rampino intreccia questi temi con un linguaggio narrativo penetrante, evitando la tecnica sterile e puntando sul ritmo emotivo. Il risultato è un romanzo che dialoga con riforme, diritti e scienze forensi.
Scienza, diritto e responsabilità
Il libro si inserisce in un dibattito più ampio che vede la psichiatria e la neuro-scienza interagire con il diritto. Una recente analisi ricorda che «le neuroscienze e altre visioni fisiche sul comportamento umano hanno potenziale impatto sul diritto e sul ragionamento morale, ma non sempre in modo diretto».
In Italia, la riforma psichiatrica sancita dalla legge 180-1978 (legge Basaglia) ha trasformato il modo di considerare la malattia mentale: la chiusura degli ospedali punitivi e il passaggio a cura comunitaria segna una pietra miliare della civiltà giuridica.
Rampino si inserisce esattamente in questo interstizio: racconta la devianza, sì, ma all’interno di un apparecchio che è anche giustizia, sistema, parola.
Un confine sottile: vittima o carnefice?
Nel romanzo emerge un interrogativo forte: quando un criminale presenta segni di disturbo, quanto può essere responsabile? Nel reparto, Aldo e i suoi apprendono che la categoria vittima/carnefice può invertire i ruoli: il medico diventa accusatore, il colpevole può cercare redenzione, la comunità civile assiste. L’ora delle quattro è quella in cui questi ruoli vacillano, perché la coscienza inizia a chiedere: chi sono io, chi è lui, cosa devo fare?
In un momento in cui la giustizia, la malattia mentale, la comunicazione dell’orrore e il senso della libertà sono al centro dell’agenda, 4 a.m. diventa un’occasione per riflettere su cosa significhi “essere colpevoli” in un mondo dove le neuroscienze mettono in discussione la pura volontà. Per chi scrive, per chi giudica, per chi ascolta. Il romanzo non dà risposte nette — perché la vita non le ha — ma propone una narrazione che sfida l’assunto: la notte avanza, l’alba non è ancora scattata, e c’è un tempo in cui la mente finalmente si sveglia.