La guerra che divora i più giovani: l’impietosa inchiesta Reuters sui volontari ucraini

Il racconto crudo dei giovani volontari ucraini finiti al fronte: sogni infranti, vite spezzate e un esercito sempre più in affanno.

Per gli appassionati di guerra, quelli che hanno preso un po’ troppo letteralmente Generale di Francesco De Gregori, per Carlo Calenda e i suoi improbabili tatuaggi.

Sembra scritto per tutti loro l’articolo di Reuters (Reuters, l’agenzia di stampa fondata a Londra nel 1851 – insomma, non parliamo di propaganda russa) in merito alla sorte di alcuni volontari ucraini nel tremendo e insensato conflitto che va avanti da ormai 4 anni.

Di seguito vi offriamo un riassunto (qui potete trovare l’originale, dal titolo Band of brothers: how the war crushed a cohort of young Ukrainians).

L’inchiesta di Reuters dà un quadro drammatico delle guerra (per coloro i quali dalla guerra sono affascinati)

L’inchiesta segue il percorso di Pavlo Broshkov, vent’anni appena compiuti, che a marzo si era arruolato con l’idea di difendere il proprio Paese e mettere da parte abbastanza soldi per una casa per la sua famiglia. Prestazioni economiche generose, un reclutamento mirato ai più giovani e la promessa di un ruolo significativo nella difesa nazionale: ingredienti che hanno convinto centinaia di ragazzi tra i 18 e i 24 anni a mettersi una mimetica addosso e partire.

La realtà, però, è arrivata in fretta. Dopo un addestramento lampo in primavera, lui e una manciata di altri reclute sono stati mandati al fronte.

Reuters ha rintracciato undici di quei giovani: nessuno di loro combatte più. Un quadro devastante. Quattro feriti gravi, tre dispersi, due scappati dalla brigata, uno ammalato e un caso di suicidio. Non è un sondaggio scientifico, ma il quadro appare comunque drammatico a colpo d’occhio.

Broshkov stesso ha rischiato di morire a giugno: colpito alle gambe, steso a terra mentre un drone gli volteggiava sopra pronto a sganciare un ordigno. È vivo solo perché un commilitone ha centrato il drone un attimo prima. Non tutti hanno avuto la stessa sorte. Il suo migliore amico, Yevhen Yushchenko, 25 anni, è scomparso in battaglia a luglio. La sorella continua a cercarlo, oscillando tra speranza e disperazione come tanti familiari dei dispersi.

La storia di questi giovani si incastra in un contesto più ampio: un esercito stremato, numericamente inferiore e costretto a colmare i buchi con reclute sempre più giovani. L’età media dei militari ucraini è 47 anni; il ricambio non arriva, o arriva così: ragazzi che tre mesi prima erano in un’aula universitaria, in un ristorante o in un negozio, e oggi raccontano l’odore della polvere da sparo e dei corpi in decomposizione. Un odore che, come dice uno di loro – soprannome Kuzma, 23 anni – non se ne va più.

Molti si ritrovano in ospedale, altri in fuga, altri ancora semplicemente non tornano. E chi torna, come Broshkov, continua a ripetere che lo rifarebbe, perché quella era la cosa giusta da fare. Accanto a lui, la moglie diciannovenne dice l’opposto: che quel contratto non sarebbe mai dovuto esistere, che un diciottenne dovrebbe crescere, non imparare a morire.

Il merito dell’inchiesta è proprio questo: scalfire la retorica della guerra “necessaria” e mostrare il conto reale, pagato da chi non ha ancora avuto il tempo di diventare adulto. Una fotografia brutalmente onesta di un conflitto che continua a mangiarsi i suoi figli più giovani, mentre il mondo osserva e si abitua – come sempre accade – a tutto, anche all’inaccettabile.

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