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Una notte da leoni e la lotta contro il cancro: la storia d’amore e resilienza di Ken Jeong e sua moglie Tran Ho

Ken Jeong, il medico diventato star con Una notte da leoni, e la moglie Tran Ho hanno affrontato insieme una dura battaglia contro il cancro.

È uno dei personaggi più amati di Una Notte da leoni, film culto del 2009 (titolo inglese Hangover, che richiama i postumi alcolici) in cui interpreta Leslie Chow, gangstar asiatico dai modi destinati a diventare iconici, quando non memetici.

Ma pochi sanno che la carriera di Ken Jeong – questo il nome dell’attore dalle origini sudcoreane – non nasce a Hollywood, ma negli ospedali. Laureato in medicina, per anni ha alternato camice bianco e piccoli ruoli sullo schermo fino ache, nel 2009, è arrivata la svolta che ha cambiato tutto: la sua interpretazione in Una notte da leoni lo ha trasformato da “medico che recita” ad “attore che a volte fa ancora il medico”. Da quel momento in poi, la sua vita non è stata più la stessa.

Oggi è conosciuto in tutto il mondo: ha recitato in film come Crazy & Rich, prestato la voce in produzioni animate come Scooby! e Tom & Jerry, è stato protagonista della serie Dr. Ken e volto amatissimo di Community. Non solo: è diventato un volto di riferimento anche di svariati talent televisivi statunitensi (giudice a The Masked Singer e The Masked Dancer, è conduttore e produttore di I Can See Your Voice). A tutto questo si aggiunge l’attività di stand-up comedian – il suo primo amore, la stand-up, e quella di autore.

Il segreto del successo di Ken Jeong? La moglie (protagonista di una dura lotta)

Eppure, dietro il successo, c’è una persona che l’ha sempre sostenuto (si dice che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna, no?) – una sua (ex) collega, la dottoressa Tran Ho. Si conobbero a un happy hour tra colleghi medici, si sposarono nel 2004 e nel 2007 la loro felicità raggiunse l’apice con la nascita delle gemelle Zooey e Alexa.

Ma l’anno successivo arrivò una prova durissima: a soli 35 anni, Tran ricevette la diagnosi di carcinoma mammario triplo negativo allo stadio III, con una probabilità di sopravvivenza stimata appena al 23%.

Tran stessa ha raccontato come tutto ebbe inizio: “Circa cinque mesi dopo la nascita delle gemelle ho sentito un nodulo al seno sinistro. Era doloroso, ma pensai: succede spesso, passerà”. Medico lei stessa, non era preoccupata. Nessuna storia familiare di tumore al seno, giovane età, noduli benigni frequenti durante l’allattamento: non c’era di che allarmarsi. Inoltre una prima biopsia confermò la natura benigna, ma il dolore continuava a crescere.

“Chiamai il chirurgo e dissi: so che è benigno, ma ormai è doloroso, dovremmo toglierlo”. L’intervento sembrava una routine. Il giorno dopo, però, la chiamata da brividi: “Era l’ultima cosa che pensavo potesse dirmi. Non sapevo cosa pensare”.

Ken, accorso immediatamente, ha confessato solo dopo di essere crollato in macchina: “Scoppiai in lacrime durante il tragitto. Cercavo di non farlo vedere a Tran, ma ero sotto shock”. Tuttavia, una volta davanti a lei, tirò fuori la sua parte da medico: sangue freddo, lucidità, sostegno.

Il percorso di cure fu massacrante: sette mesi tra chemioterapia, mastectomia, ulteriori cicli e radioterapia. Già dal primo ciclo, però, Ken percepì un barlume di speranza: “Dalla prima dose di chemio ci fu una risposta. Era come correre una maratona, ma capii subito che c’era fiducia e ottimismo”.

Nonostante la malattia, la vita non si fermò. Pochi giorni dopo la diagnosi, Tran dovette affrontare l’esame di abilitazione medica, otto ore di quiz che ogni dottore sostiene ogni dieci anni. Ken ricorda quei momenti difficili con grande ammirazione: “Pensò: tanto la chemio mi indebolirà, meglio fare l’esame subito. E lo superò brillantemente. È la mia eroina”.

La forza di Tran (e l’happy ending), però, non significa che sia stato tutto facile: “È dura essere una giovane madre con un tumore al seno. La maggior parte delle persone che incontri in chemioterapia sono più anziane, con figli già grandi. Io avevo due neonate. È stata dura”. Eppure, non ha mai provato rabbia né rancore per le diagnosi inizialmente sbagliate: “Può sembrare folle, ma mi sentivo grata per la vita che avevo già vissuto. Ero felice di avere le bambine, di avere Ken. Mi sembrava già un miracolo”.

La chiave per andare avanti, raccontano entrambi, è stata anche l’umorismo (un elemento che evidentemente appartiene alla coppia anche lontana dalle telecamere): “È il nostro umorismo che ci fa andare avanti. È ciò che ci ha permesso di affrontare il cancro di Tran” – ha raccontato Ken – Non c’è niente di divertente in queste situazioni. L’unica cosa che puoi fare è mostrare compassione, empatia, amore. Da lì, a volte, nasce un sorriso che allenta la tensione. Per me, questo è l’umorismo: trovare un raggio di luce nel buio”.

Guardando indietro, Ken sa che senza Tran non avrebbe avuto il coraggio di abbandonare la medicina per inseguire la carriera artistica: “Quando mollai il mio lavoro stabile fu lei a sostenermi. Senza il suo appoggio non lo avrei fatto. Lei è molto zen, vive giorno per giorno, e da lei ho imparato a rallentare. Dopo il cancro di Tran, ho capito davvero che la vita è breve e che bisogna cogliere le opportunità quando arrivano”.

Oggi, a ben oltre un decennio dalla fine delle cure, Tran è libera dal tumore. E per Ken non c’è nulla di più importante: “Sono semplicemente grato che Tran stia bene, che sia in salute. È tutto ciò che conta”.

I due, inoltre, fanno squadra anche per la prevenzione: Ken partecipa a eventi ospedalieri per sensibilizzare sul cancro al seno e sull’importanza degli screening precoci e hanno preso parte alla maratona annuale di Stand Up To Cancer, come simbolo di speranza: “Unirsi per la ricerca salva vite. Lo sappiamo perché ha salvato Tran”.

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