Il caso Marcos Llorente: talento puro, pedigree unico e idee che dividono (dalla dieta paleolitica al sole senza creme, fino alle scie chimiche).
Marcos Llorente è un calciatore di cui è difficile non parlare, e non solo per il campione che è (ha vinto due Champions da comprimario con il Real Madrid, prima di passare all’Atletico). Llorente appartiene infatti a una categoria pressoché unica, in cui talento, storia familiare e visione del mondo creano un personaggio impossibile da incasellare. Lo si nota in campo, certo, ma soprattutto fuori, dove le sue abitudini e le sue convinzioni fanno discutere praticamente tutti: tifosi, addetti ai lavori e perfino chi di calcio ne sa poco o nulla (anche perché le sue controverse posizioni poco e nulla hanno a che fare col calcio).
Llorente non è “figlio d’arte”: è l’ultimo (al momento) erede di una delle dinastia sportive più impressionante del calcio spagnolo. Suo padre Paco ha passato sette stagioni al Real Madrid, la madre Angela ha un passato nel basket, il nonno Ramón Grosso è una leggenda blanca con sei Coppe dei Campioni. Da qui si apre un albero genealogico che sembra inventato: zii, cugini, perfino il legame diretto con Paco Gento, uno dei giocatori simbolo dell’epoca d’oro del Madrid. È un background che pochi al mondo possono vantare e che, volente o no, ne ha plasmato la personalità.
In campo è sempre stato un corpo in movimento: mezzala, trequartista, poi laterale e addirittura terzino. Con Casemiro davanti giocava poco, così ha scelto l’Atlético, che nel tempo gli ha chiesto di fare tutto e il contrario di tutto – trasformandolo nel duttile giocatore odierno: è stato Simeone l’artefice della trasformazione dell’iberico in un jolly essenziale, un giocatore tatticamente duttile ma mai banale, di quelli che cambiano la partita semplicemente perché interpretano il ruolo con un’idea tutta loro.
Ma non solo in campo. Llorente è uno che l’idea ce l’ha su tutto: dalla luce al cibo, dalle abitudini del sonno alle presunte “scie chimiche”. E non ha alcuna intenzione di filtrarsi, come non s’è filtrato nell’ultima intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport.
Le sue passeggiate a torso nudo d’inverno hanno fatto sorridere molti. Le lampade rosse in casa, le lenti colorate per “proteggere” il ritmo circadiano, la dieta paleolitica, il digiuno notturno, l’avversione totale alle creme solari. Un insieme di comportamenti che, in un’epoca dominata dalla scienza “ufficiale” e dal bombardamento di linee guida, rappresentano quasi una provocazione.
Llorente però non è interessato a provocare. È convinto di quello che dice. Quando il giornalista della rosea gli chiede se la terra è piatta, risponde sereno: “Rotonda, o sferica. Non sono un terrapiattista. Però qualcuno ha iniziato a pensarlo perché vivo in modo diverso”.
E quando si arriva al tema più infiammabile, quello delle scie chimiche, la risposta non vacilla: “Mi preoccupano, certo”. Non aggiunge altro, non prova a convincere nessuno, ma non fa nemmeno un passo indietro. È un equilibrio strano, tipico di chi sa che le sue opinioni non sono popolari ma non per questo decide di annacquarle.
Il punto, forse, è che Llorente vive secondo una logica che non appartiene a gran parte del suo mondo (quello del calcio è se possibile ancor più conformista di quello che viviamo tutti noi). La sua lotta alle creme solari è esemplare: “Il cancro alla pelle colpisce tutti, anche chi vive in una grotta. Io non vedo una relazione diretta” (si potrebbe dire lo stesso della sigarette). Prende il sole senza protezione da vent’anni, dice, e suo padre da quaranta. Non è una rivendicazione, è una dichiarazione di intenti. Anche sugli occhiali da sole va dritto: “Se fissi il sole ti friggi gli occhi, ovvio. Ma se giri senza occhiali, i benefici ci sono”.
Eppure, nella sua ortodossia personale, c’è spazio per una certa flessibilità. In nazionale e all’Atlético non può mangiare quando vuole, non può imporre i suoi ritmi: “Ci vuole equilibrio, è l’unica via alla felicità”. È uno che tiene la barra dritta, ma senza fare la guerra al mondo.
Poi c’è un altro dettaglio che lo rende ancora più singolare: il vino. Non come sfizio, ma come piccola filosofia. Ha iniziato a dedicargli attenzione negli ultimi anni, trasformando una curiosità in una passione raffinata. Cita Masseto, Monfortino, Case Basse di Soldera, il Sassicaia ’85: un repertorio che tradisce una precisione quasi filologica. “Prima compravo orologi, ora preferisco il vino. Ha una funzione sociale meravigliosa”.
E, tra un bicchiere e una discussione sulla luce naturale, resta il calcio. La nazionale, che vive senza ossessione (è nel giro, ma non è un insostituibile) e l’Atlético, che descrive con un’onestà disarmante: forte in casa, in cerca di continuità fuori.
E adesso ci sarà l’Inter, avversario di Champions e squadra che Llorente conosce bene, visto che l’Atleti è l’unica ad averla eliminata dalla Champions negli ultimi tre anni. “Hanno identità, individualità e un blocco che funziona. Sarà una sfida aperta”

