Meo Fusciuni racconta in “Ovunque” un viaggio sensoriale tra memoria, luoghi e fragranze: un romanzo poetico che unisce parola, profumo e identità.
Ci sono artisti che costruiscono mondi con le parole, altri che lo fanno attraverso i profumi. Meo Fusciuni — al secolo Giuseppe Imprezzabile — appartiene a quella ristrettissima categoria che riesce a fare entrambe le cose, senza forzature e senza etichette. Perché, al di là delle definizioni, la sua è una ricerca continua: un attraversare i luoghi e se stesso, inseguendo tracce invisibili che diventano memoria.
Con Ovunque (Edizioni Santelli), Fusciuni firma un’opera che non assomiglia a un romanzo tradizionale. È piuttosto un territorio emotivo: un libro che chiede di essere letto, sì, ma anche respirato. Un viaggio che nasce dalla sua vita e dal suo modo di stare nel mondo, dove ogni parola è un gesto e ogni immagine un’eco di qualcosa che è accaduto — fuori o dentro di lui.
Un artista che si muove tra più lingue (in tutti i sensi)
Prima ancora della scrittura, Fusciuni è conosciuto come uno dei più significativi profumieri artistici contemporanei: premi internazionali, riconoscimenti, collaborazioni, un lavoro che negli anni ha assunto quasi il tono di un archivio emotivo. Ogni fragranza è un ricordo, un ritorno, un luogo dell’anima.
Nato a Mazara del Vallo e cresciuto tra gli odori concreti della Sicilia, porta dentro di sé un modo di guardare il mondo che unisce scienza e poesia: gli studi di chimica ed erboristeria, le esperienze di viaggio, l’attenzione quasi rituale per ciò che resta nonostante il tempo.
Non stupisce allora che la scrittura sia diventata l’estensione naturale di quel percorso: una lingua che, come il profumo, prova a fermare ciò che sfugge.
Un libro che attraversa memoria, luoghi e fragranze
Ovunque è la storia di un uomo che ripercorre ciò che lo ha formato. È un viaggio fisico e interiore che lo porta dalla Sicilia all’Europa del Nord, dall’Asia ai deserti interiori, tra città, notti, odori, incontri e assenze che hanno lasciato un segno.
Il protagonista — alter ego dell’autore — si muove come se ogni luogo fosse una stanza della memoria. A guidarlo è il ricordo, ma anche l’odore: quello che, inizialmente muto, diventa profumo, poi immagine, poi parola.
«Ho sempre creato per cercare un luogo dove nascondermi, dove ritrovare me stesso», scrive Fusciuni. E in Ovunque questo gesto si ripete, pagina dopo pagina.
La scrittura è lenta, meditativa, quasi musicale. Ogni capitolo sembra una meditazione, una stanza in cui entrare in punta di piedi: immagini che si aprono e si richiudono come polmoni. L’autore mescola autobiografia e visione, realtà e sogno, corpo e memoria, creando una narrazione che procede per sensazioni e ritorni.
La forza del libro sta nella sua capacità di trasformare l’esperienza in materia viva. La pioggia sulla pietra, il tabacco nella stanza, il vento del mare, un caffè in un posto lontano: ogni dettaglio è un frammento che diventa racconto.
Fusciuni non spiega, non giustifica, non teorizza. Semplicemente porta il lettore dentro un mondo in cui il tempo è fatto di odori e il ricordo è una forma di resistenza. Un modo per non perdere se stessi, nemmeno quando tutto sembra dissolversi.
Ovunque è un libro sulla fragilità e sull’appartenenza, sul bisogno umano di trattenere qualcosa di “nostro” mentre la vita corre. È anche un invito alla lentezza, al silenzio, a quell’ascolto profondo che oggi sembriamo aver dimenticato.
In un periodo in cui si parla tanto di identità, Fusciuni fa un passo di lato: non cerca definizioni, ma racconta l’esperienza di stare al mondo. La sua è una voce che appartiene a più luoghi, e forse proprio per questo riesce a toccarne tanti.
Ovunque non è un romanzo di trama, ma un romanzo di presenza. Un gesto artistico che unisce profumo e parola, viaggio e memoria, fragilità e resistenza.
Un libro che non si legge: si attraversa. E, come tutti i viaggi importanti, lascia qualcosa dietro — e qualcosa dentro.

