Nel “Silenzio del sale” Marco P. Massai trasforma il terremoto del 1688 in un giallo storico avvincente ambientato nella Romagna barocca.
Quando la terra trema, qualcosa si incrina anche nell’animo umano. E da quella crepa, spesso, entrano storie che non avremmo mai voluto ascoltare.
Il 11 aprile 1688, Ravenna fu colpita da un terremoto potente, uno di quelli che le cronache dell’epoca descrivono come “un fremito che attraversò chiese, saline, case e coscienze”. È un evento storico documentato — un sisma reale, violento, che aprì crepe nelle mura e nella vita delle persone.
Cosa scrive l’INGV di quel terremoto
L’11 aprile 1688, intorno alle ore 12:20 UTC, la Romagna occidentale fu colpita da un terremoto
con magnitudo stimata attorno a 5.8 (valore ricavato dai dati macrosismici). La scossa, il cui
epicentro è stato localizzato nei pressi di Cotignola (RA), ebbe – secondo le testimonianze
dell’epoca – una durata percepita di circa 20 secondi. Nelle fonti coeve viene descritta come
il tempo necessario a recitare un “credo” o un “lungo ave maria”, naturalmente in lingua latina.
Da quel boato sotterraneo, fisico e simbolico, Marco P. Massai sceglie di aprire il suo romanzo più maturo: Il silenzio del sale, uscito per Santelli Editore il 14 novembre 2025.
Massai non usa il terremoto come semplice sfondo: lo trasforma in una soglia. Un varco che introduce il lettore in una Romagna barocca fatta di saline abbagliate dal vento, di nebbie fitte come presagi e di un potere — quello della Santa Inquisizione — che osserva, giudica e controlla.
Dentro questo mondo inquieto si muovono Tommaso Casadio, Censore Postale, e il suo giovane assistente Dante Servadei. Una coppia investigativa atipica, segreta, costretta a districarsi tra superstizioni, delitti inspiegabili e la trama silenziosa di una terra in cui fede, politica e paura si confondono.
Le loro indagini nascono da due omicidi crudeli, legati da un dettaglio perturbante: il sale, premuto persino sotto le palpebre delle vittime. Non un vezzo narrativo, ma un simbolo antico, identitario, capace di evocare purificazione, castigo, memoria.
È impossibile leggere queste pagine senza sentire l’odore del sale sulla pelle.
Massai ricostruisce la Romagna di fine Seicento con una precisione sensoriale rara: l’acqua ferma delle valli, l’aria tagliente delle saline di Cervia, la fragilità delle case di legno dopo le scosse, il timore che accompagna chiunque viva in un territorio dove la natura detta le regole.
A tratti sembra di intravedere echi di Eco e Camilleri storico, ma Massai resta sempre Massai: diretto, visivo, capace di creare personaggi che vivono oltre la pagina.
Il tema centrale, però, va oltre il giallo.
Sono le scelte, dice l’autore.
Le scelte che ci definiscono, quelle che facciamo quando tutto trema — fuori e dentro di noi.
Il terremoto del 1688 è allora metafora perfetta: ciò che cade, nella vita come nella terra, obbliga a costruire di nuovo.
Casadio e Dante attraversano l’indagine come si attraversa la ricostruzione dopo un sisma: cercando prove, cercando senso, cercando di capire dove finisce la verità e dove comincia la paura.
Massai consegna al lettore un romanzo colto, intenso e sorprendentemente attuale.
Perché, come capita nei migliori gialli storici, più cerchiamo risposte nel passato più ci accorgiamo che parla di noi.

