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I tatuaggi fanno male? Lo studio che potrebbe far felici i no vax

Un nuovo studio internazionale suggerisce che i tatuaggi possono indebolire il sistema immunitario per anni. Ecco cosa hanno scoperto i ricercatori.

Ci sono argomenti che tornano ciclicamente, come certi amori per Antonello Venditti. I tatuaggi – e il loro fare più o meno male – sono uno di questi. Se ne discute da anni: sono innocui o meo? Possiamo farceli senza pensarci troppo o esiste un prezzo nascosto, pagato silenziosamente dal nostro organismo? E ogni volta la risposta è sempre un po’ la stessa: manca chiarezza, mancano prove solide. Stavolta, però, un nuovo studio mette sul tavolo un elemento concreto, misurabile, e apre una questione che – volenti o nolenti – toccherà molti (coloro i quali hanno deciso di piegarsi alla moda dei tatuaggi).

Parliamo di una ricerca internazionale guidata dall’italiana Arianna Capucetti e coordinata da Santiago González, dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona. Pubblicata su Pnas, la rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti. La ricerca ha coinvolto dodici gruppi in tutto il mondo ed è andata a osservare gli inchiostri più usati nei tatuaggi: nero, rosso e verde. Pigmenti comunissimi, quelli che ritrovi praticamente ovunque, dai tribali clamorosamente in voga ad inizio millennio (ricordate quante ragazze se n’erano tatuati sull’osso sacro?) ai piccoli simboli minimalisti tanto di moda.

Gli autori hanno analizzato gli effetti sugli animali, e la prima scoperta è già di quelle che fanno alzare le sopracciglia: l’inchiostro non rimane affatto confinato alla pelle. In poche ore entra nel sistema linfatico e si accumula nei linfonodi, che sono un po’ le sentinelle del nostro sistema immunitario. Fin qui, lo si sospettava da tempo. Ora però c’è la conferma sperimentale, accompagnata da un dettaglio non irrilevante: l’inchiostro induce una risposta infiammatoria in due tempi. Una fase acuta, che dura un paio di giorni, e una fase cronica che può trascinarsi per anni.

Ed è quest’ultima a preoccupare. I pigmenti vengono assorbiti dai macrofagi, le cellule che di solito divorano ciò che non dovrebbe stare nel nostro corpo. Peccato che, in questo caso, non riescano a “digerire” l’inchiostro. Lo inglobano, ci provano, falliscono, e alla fine muoiono. Da qui nasce una sorta di circolo vizioso: altre cellule intervengono, lo stesso pigmento continua a essere presente, la reazione immunitaria non si spegne mai del tutto. Il fenomeno è più evidente con i colori rosso e nero, quelli che – guarda caso – dominano nel mercato.

Secondo gli autori, questa presenza continua dell’inchiostro nei linfonodi finisce per coinvolgere anche le cellule nuove, quelle che dovrebbero svolgere il loro lavoro senza ereditare problemi. È un po’ come se il sistema immunitario dovesse convivere con un ingombro costante, e alla lunga ne risentisse. Non solo: lo studio suggerisce che i tatuaggi potrebbero ridurre l’efficacia dei vaccini. Un’ipotesi che, anche solo a nominarla, farà gola ai no vax, prontissimi a tirarla per la giacchetta (perché vaccinarsi se basta un tatuaggio a ridurne l’efficacia?)

Ad ogni modo la verità, confermata dagli stessi ricercatori, è che non ci sono prove certe di un legame tra tatuaggi e lo sviluppo di tumori. È una questione aperta, su cui si discute da anni e su cui si continuerà a discutere. Questo studio non arriva a dare risposte definitive, ma suggerisce che servono controlli rigorosi sui pigmenti e procedure standardizzate. Non demonizza i tatuaggi, ma ci ricorda che, proprio perché li abbiamo normalizzati, forse dovremmo anche pretendere più sicurezza. E più trasparenza.

In fondo, il tatuaggio come gesto personale resta sacro: è identità, scelta, memoria. Ma la pelle, da sola, non basta a contenerne le conseguenze. E se davvero una parte dei pigmenti se ne va in giro per il sistema linfatico per anni, allora forse è il momento di discutere non solo dell’estetica, ma della biologia. Senza toni apocalittici, certo, ma anche senza la leggerezza con cui, per troppo tempo, abbiamo trattato la questione.

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