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Fabrizio Fergola con “Vince chi molla”: la corsa come metafora della vita, tra fatica, limiti e la forza di ricominciare

Alla scoperta di “Vince chi molla”: il romanzo di Fabrizio Fergola dove la corsa è metafora di vita e mollare non è arrendersi, ma rinascere.

Nell’universo dello sport, spesso dominato dal culto del risultato e della performance a tutti i costi, arriva un romanzo che sfida il tabù più radicato: quello di mollare. È “Vince chi molla”, l’ultima opera di Fabrizio Fergola, scrittore, runner appassionato e manager con un background in sociologia. Il libro racconta la storia di Mia, una giovane atleta determinata a concludere la maratona di New York in meno di tre ore. Ma quello che potrebbe sembrare un semplice obiettivo cronometrico si trasforma, pagina dopo pagina, in un viaggio interiore, sullo sfondo di una Milano vibrante.

La corsa, in questo romanzo, smette di essere una mera disciplina atletica per diventare una palestra di vita, un confronto continuo con il proprio corpo, le proprie paure e i desideri più nascosti. Attraverso i ritmi serrati degli allenamenti, Mia impara che la fatica può trasformarsi in libertà e che persino il dolore può essere un potente alleato per il cambiamento. Fergola, con uno stile che unisce introspezione e tensione narrativa, restituisce al lettore non solo l’adrenalina della corsa ma la complessità delle emozioni umane.

“Vince chi molla” non è un manuale sportivo, ma un’autentica storia di formazione che esplora temi universali, ricordandoci che il traguardo più importante non è quello fisico, ma interiore: arrivare a conoscersi e comprendere che, a volte, avere il coraggio di fermarsi è il primo passo per ricominciare con una consapevolezza nuova.

Abbiamo avuto modo di scambiare un paio di battute con l’autore per farci raccontare il percorso dietro a questo  romanzo.

Da dove nasce l’idea di raccontare la corsa come metafora della vita?

“L’idea nasce dall’osservazione di quanto la corsa, più che uno sport, sia un viaggio interiore. Nella corsa non conta soltanto l’arrivare al traguardo, ma come affrontiamo ogni chilometro: la fatica, i momenti di entusiasmo, quelli di sconforto e la capacità di rialzarsi quando le energie sembrano finite. Esattamente come nella vita, non è la velocità a definire il valore del percorso, ma la determinazione con cui lo si affronta”.

“Mollare” nel titolo è un gesto di resa o di forza?

“’Mollare’ è un atto di coraggio e di verità. Significa smettere di inseguire ruoli che non ci appartengono e togliere, uno a uno, i pesi che ci impediscono di avanzare. È il momento in cui scegliamo di non correre più per dimostrare qualcosa, ma semplicemente per essere ciò che siamo. Mollare vuol dire fare pace con i nostri limiti e abbracciare le nostre possibilità, tornare al centro di noi stessi. Non è una resa, ma un gesto potente di libertà. E anche quando si perde, mollare è fondamentale: accettare la sconfitta non significa arrendersi, ma riconoscere che ogni fine può diventare un nuovo inizio. Perché a volte lasciar andare non è soltanto l’unico modo per andare avanti, ma è già di per sé una nuova vittoria”.

Quanto c’è di autobiografico in Mia e nella sua ricerca di equilibrio?

“Molto poco, se non la passione per la corsa, che per me è sempre stata una fonte di libertà e di leggerezza. Mia è un personaggio di fantasia, ma sono riuscito a interpretare in lei tutto ciò che si prova attraverso i sensi umani. Nelle sue pagine descrivo la corsa con ogni sfumatura sensoriale – il respiro, i suoni, gli odori, le sensazioni del corpo – perché sono esperienze che conosco profondamente e che ho imparato ad ascoltare nel tempo”.

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